Intervista a Paolo Enrico Archetti Maestri: di disobbedienza ed altri suoni

Paolo Enrico Archetti Maestri
(Foto di Ivano A. Antonazzo)

Paolo Enrico Archetti Maestri
(Foto di Ivano A. Antonazzo)

di Chantal Castiglione

Le narrazioni fatte di parole e suoni occupano un posto importante nella vita di tutti noi. Generano ricordi. Hanno il dono di far riaffiorare emozioni il più delle volte in antitesi tra loro, brutali. Così chiudi gli occhi, schiacci play e parte la tua canzone. Sì, proprio la tua. Scorre nelle vene assieme al sangue, viaggia attraverso il cuore e affonda nell’anima.

Le parole in alcuni casi creano una magia in più. Permettono alle persone di incontrarsi. Di trovare a chilometri di distanza chi è più simile a te ed intraprendere un percorso condiviso di memorie e battaglie. Per restare ribelli e non arretrare.

E ti ritrovi a parlare di tutto ciò che non va. Di una società eternamente malata. Di vecchi e nuovi fascismi che bussano alle porte del tempo. Del capitalismo che nella migliore delle ipotesi ci trasforma in carne da macello nostro malgrado. Del consumismo che uniforma i bisogni sotto la bandiera del falso egualitarismo di una democrazia distorta.

L’Officina della disobbedienza è il contenitore adatto per raccontare, incontrare e intrecciare rapporti fuori dagli schemi e in un certo senso rivoluzionari. L’obiettivo è di dare una visione Altra delle realtà in cui siamo immersi grazie al contributo di chi da sempre brinda alla bellezza dei margini. Una sorta di megafono. Un amplificatore. O più semplicemente una via di fuga verso la Liberazione.

Iniziamo questo viaggio disobbediente con Paolo Enrico Archetti Maestri degli Yo Yo Mundi.

Innanzitutto grazie per la tua disponibilità e benvenuto in questo piccolo angolo di disobbedienza. Son felice di inaugurare questo spazio proprio con te. Vorrei che fossi tu a presentarti  raccontandoci di te, della musica, delle canzoni.

P.E.A.M: Ho iniziato a scrivere canzoni da piccolo; quando ho scritto la prima avevo all’incirca otto anni, il brano si intitolava: “Sento sotto il ponte l’acqua fresca gorgogliare”. E poi non ho più smesso! C’erano i Beatles, c’era Bob Dylan, c’erano Tenco, De Gregori e De André, loro erano nell’aria insieme al sogno di un mondo più libero. Scrivere canzoni aveva un senso profondo, quasi assoluto: le canzoni non erano soltanto una colonna sonora o, peggio ancora, un sottofondo, erano il suono di una generazione intera. Scrivere canzoni ha dato un senso alla mia esistenza, cantare mi ha permesso di superare paure e inadeguatezza, suonare mi ha salvato la vita. Intorno al 1988 - dopo altre belle esperienze artistiche - ho fondato gli Yo Yo Mundi insieme ad Eugenio Merico e Andrea Cavalieri (qualche mese dopo si unì a noi, il quarto Yoyo, Fabio Martino), da lì in poi ha avuto inizio l’avventura artistica più importante ed entusiasmante della mia vita che ancora vibra, la colora e la rende assai speciale. Migliaia di concerti ed esibizioni pubbliche. Centinaia di canzoni e partecipazioni a raccolte e progetti. Decine di cd e premi e, infine, infinite collaborazioni con artisti di ogni tipo e genere (Wu Ming, Steve Wickham, Massimo Carlotto, Lella Costa, Ivano Fossati, Violent Femmes, Giorgio Gaber, Hevia, Carlin Petrini, The Gang, C.S.I., Marco Baliani, Michael Brook, Franco Branciaroli, Teresa De Sio, Trey Gunn, Eugenio Finardi, Giuseppe Cederna, Guy Kyser, Moni Ovadia, Beppe Quirici, Paolo Bonfanti, Maurizio Camardi, Stefano Tassinari per citarne solo alcuni). Ma, soprattutto, al di là dei numeri e delle assortite soddisfazioni, fare musica è  un regalo meraviglioso che la vita mi ha fatto ed è anche uno straordinario privilegio. Non so chi e cosa debbo ringraziare per tutto questo, ma, in qualche modo con piccoli atti e molti sorrisi, lo faccio ogni giorno. Infine, mi piace sottolineare che il mio rapporto con il suono, le musiche e soprattutto con le canzoni non è legato solo all’esibizione del mio talento, al bisogno di comunicare e alla meravigliosa possibilità che ho di vivere grazie a questo mestiere, ma, a filo doppio e resistente, al desiderio di provare a muovere il pensiero e alla possibilità concreta di restituire agli altri e alla nostra epoca la sintesi poetica e artistica di quello che ho percepito, immaginato e creato.

Penso agli anni ’70. Penso al peso di alcune canzoni sulla vita degli individui. Lotta e amore suonavano insieme. La mia mente va a De Andrè che narrava le vicende degli ultimi, a Rino Gaetano che sbeffeggiava e lottava contro il potere, ai canti di lotta all’interno dei movimenti della sinistra extraparlamentare. Ma la musica potrà davvero salvare il mondo?

P.E.A.M: Il capitalismo ha perso, ma purtroppo non abbiamo vinto noi. Questo è il vero problema. La lotta impari ci ha via via trasformati, ha trasformato le persone e il mondo intero, ha cambiato le nostre urgenze, le nostre esigenze, le esistenze stesse. Come diceva quella frase fissata da qualche poeta di strada sui muri di Buenos Aires: «Quando finalmente sapevamo tutte le risposte, ci hanno cambiato le domande». La creatività è stata rapita, rubata, sottratta alle piazze e ai sogni, alle visioni e ai desideri, trasferita e segregata nelle torri di controllo dove, pochi e ben pagati, la tradiscono in nome della produttività e del consumo. Creando per noi mode e stili di vita ad hoc - e nuovi bisogni, nuove urgenze che durano il tempo di un singhiozzo - senza più attendere che singole intuizioni geniali, movimenti (più o meno giovanili) o ambienti fertili di scambio, racconto e contrapposizione, generino il nuovo mescolando esperienza ed esigenza. Anche la musica ci è stata in qualche modo scippata, negata nella sua essenza più profonda; infatti quella che ci viene  imposta e che si ascolta ripetutamente diffusa è solo un prodotto di consumo che, per l’appunto, va semplicemente e abbondantemente consumato. Perché deve generare profitto immediato, non deve durare, anzi deve scadere presto per liberare lo slot che andrà occupato da un altro prodotto analogo di altrettanta breve durata, destinato a identica fine. La sua qualità è proporzionale alla sua deperibilità. Sarà un problema quando milioni di persone - che subiscono senza  reagire - scopriranno che nei prodotti musicali plastificati imposti dal mercato non ci sarà più modo di ritrovare lo stupore dell’immedesimazione e la carezza della nostalgia. E che il web non è sinonimo di abbondanza, scambio e libertà, bensì di controllo, prigionia e solitudine. Detto questo, cronaca dell’amore ai tempi della peste telematica, non bisogna in alcun modo arretrare! Continuiamo a scrivere canzoni fino a consumarci le dita sul manico d’albero della chitarra o sull’ebano e sull’avorio dei tasti del pianoforte. E fino a quando ci sarà una luce da seguire, una lotta da appoggiare, un canto da intrecciare alle braccia e alla voce dei nostri fratelli… il nostro sogno di muovere il pensiero - anche se sta “a salvare il mondo” come una goccia d’acqua all’oceano tutto - non morirà mai.

Oggigiorno però il potere utilizza dei metodi di coercizione più subdoli insinuandosi nelle coscienze troppo spesso anestetizzate degli individui-automi. C’è una sorta di riscrittura costante non solo della storia ma dello stesso quotidiano. Quali secondo te possono essere le armi più appropriate per affrontare una nuova lotta di Liberazione e remare contropotere?

P.E.A.M: Un’arma appropriata?Il cacciavite! Bisognerebbe armarci di cacciaviti e svitare tutti insieme le viti che tengono unito questo sistema. Smontarlo pezzo per pezzo, invece di continuare a  moltiplicarlo nel nostro quotidiano e nelle nostre scelte politiche e sociali come abbiamo fatto fino ad ora. Smontarlo, senza distruggerlo, per poi ficcarlo in un gigantesco museo, inutile come una piramide, smembrato, ma ancora ben visibile a futura memoria. Il miglior modo per liberarci e liberarsi da tutto questo è realizzare, inventare, sognare qualcosa che il sistema e i sistemati non si aspettano, e poi diffonderlo capillarmente, libero come l’acqua che non conosce confine, per spegnere dolcemente ogni tentativo di ripristino del sistema. E vivere una nuova era, fuori dai sistemi, celebrando altre inedite forme di democrazia.

Nelle canzoni degli Yo Yo Mundi memorie si annodano come tanti fili rossi tra di loro. Nel vostro repertorio si possono trovare anche canzoni abbastanza coraggiose come, ad esempio: “Chi ha portato quei fiori per Mara Cagol?”. Che ruolo ha la memoria nella tua vita? Come ti rapporti con lei, con la storia recente del nostro Paese?

P.E.A.M: Storia e Memoria sono come due sorelle che vivono schiena contro schiena e dunque non potendosi guardare, mai scopriranno di essere gemelle. Memoria e Storia insieme si auto generano e vibrano all’unisono, procedono come due linee rette parallele che non si incontrano mai, in attesa dell’infinito. Senza il flusso, il fuoco e il fiato generati da queste due sorelle cosa saremmo? Che senso avrebbe scrivere, creare, vivere, amare, respirare? Per la mia sensibilità e per il mio lavoro, loro due - sempre insieme! - sono quel filo resistente che intreccia ogni mia azione quotidiana e artistica, senza prestare loro attenzione quel che faccio si svuoterebbe di significato e ogni mia visione sarebbe confusa, imprendibile, impossibile da descrivere e raccontare. Chi ascolta la nostra musica percepisce che non è solo musica, che non si tratta di canzoni fini a se stesse, ma di composizioni che provano a farsi portatrici di una modalità di narrazione (che mi auguro variegata, vibrante e colorata), composizioni teneramente complesse che nascondono uno o più racconti, profondi o di superficie. Molte nostre canzoni, è vero, affondano la ricerca in fatti riconducibili alla storia e alla nostra memoria collettiva. Ascolti un racconto che prima diventa un tuo piccolo e prezioso patrimonio, poi, per qualche scherzo del caso, si trasforma nella materia bruta della creazione. A quel punto ne realizzi una sintesi artistica e, cantandola e suonandola, ti fai megafono o catapulta. E la restituisci al mondo. Credo funzioni più o meno così!

Per concludere, cosa vuol dire per te essere disobbediente e quindi disobbedire?

P.E.A.M: Per essere disobbedienti bisogna essere assai curiosi, infatti se sei ostinatamente curioso non ti adegui allo stato delle cose, non ti fai legare le ali da niente e nessuno e così facendo il tuo naso, il tuo canto e il tuo pensiero arriveranno sempre oltre e altrove. Oltre ogni recinzione, oltre ogni muro, oltre ogni limite imposto e altrove, là dove ti attendono gli altri compagni di viaggio, di lotta e di speranza. Se davvero vuoi essere libertario, utopista, fraterno e ugualitario allora sarai sempre e comunque seduto dalla parte del torto insieme agli altri disobbedienti che lottano per un mondo migliore e contro ogni forma di sopraffazione e sfruttamento. Perché la disobbedienza è fatta della stessa sostanza dei nostri sogni. 

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